Da "JAZZ AT MASSEY HALL" The quintet -
Quando il Passero fece l'ultimo salto, non ci si riferisce al balzo descritto nella storiella di Elliot Grennard, L'ultimo Salto del Passero, che parla solo di uno tra i tanti salti, e nemmeno a Babe Ruth od a Lou Gehrig in base, allo Yankee Stadium colmo di doni dei fans fedeli. Non c'era la fanfara per un'esibizione che chiudeva una brillante carriera, né una calda retorica, e non c'era niente che potesse alleviare il dolore per il suo ritiro.
C'era invece un crollo sconvolgente in un night club ed un sudario di delusione, l'urlo di una morte che avrebbe colpito quattro sere dopo.
Ed ora, perpetuando una vita che sembrava intenzionalmente terminata, si narrano delle storie su di un docile uccellino che visita un bar di musicisti, o di una piuma sospesa al soffitto della Carnegie Hall. Ci sono uomini che sono tornati dalle loro mogli, alcuni che invece le hanno lasciate; alcuni musicisti che si stanno affrettando a diventare pretendenti di questo trono, altri che sono disposti a fare sedute spiritiche con lui.
Niente di tutto tuttavia ciò pare strano, e non importa quanto ciò sia vero, perché questo fu un uomo che persuase i suoi adulatori ad ingrassare o a dimagrire secondo una dieta da lui stabilita. I giovani usavano narcotici perché si diceva che lui ne fosse dipendente; altri decisero di cambiare strumento, perché non avrebbero mai avuto alcuna speranza di eguagliarlo; altri ancora copiarono i suoi schemi, il taglio dei capelli, i vestiti, le abitudini alimentari: in breve, la vita, e copiarono quest'essere che quasi veneravano.
Uno strano Dio. Una creatura che voleva e suggeriva l'autodistruzione; un confidente di tutti i mali, come lui stesso riconosceva; un amico di molte cose buone; è per questo motivo che egli non andò mai in fondo alla questione. In cosa credeva quest'uomo che era così tanto venerato? Nella sua arte naturalmente; nella sua genialità, se permettete un uso specifico di questa parola. Ma entrambi questi aspetti facevano parte del suo essere, come le braccia, parti a cui non poteva rinunciare, non tenendo conto del tormento che avrebbe procurato al suo corpo o alla sua mente. Essi erano la sua vita, e nella delusione che questi gli procuravano, trovò la ragione, tra l'altro, per mettere fine a ciò che a fatica, lo soddisfaceva.
Ciò non gli diede mai pace, così la venerazione invece di diminuire, aumentò; cercò spesso di non farci caso, ma non fu mai lasciato tranquillo; questa, portò il suo pigro corpo e la sua pigra mente in un modo o nell'altro, a spingersi dalla mediocrità, alla lucidità e all'intensità dell'espressione. E tutto ciò lo pagò con l'ancia del suo sax e nient'altro.
Finché il piacere e la frustrazione furono in competizione col talento, lui cambiava, così pareva, o forse voleva farlo intendere, per premio frutto della sua bravura - per il denaro, come oggetto di venerazione. "Il pane" diceva "ecco il tuo unico amico".
Allo stesso tempo, egli si autovenerava, anche se, sia per sua stessa ammissione che per il suo stesso comportamento, odiava sé stesso, e ciò rende ancor più chiara la questione. Poi come Dio e il suo servo, come il venerato e l’adoratore, scoprendo di aver bisogno di entrambi, si immedesimava nelle parti come un religioso ormai abituato a farlo; compì dei sacrifici essendo allo stesso tempo penitente, vittima e divinità. Nessuno di questi era appagato, nessuno era soddisfatto, e le vittime erano più bruciate che offerte, ma egli era finito, terminato, ma non poteva essere più frustrato di così e con l'animo a pezzi.
Questi era il Passero, Bop Charlie Chan, o come volete chiamarlo; chi ascolta il jazz può scegliere il nome che preferisce. Un uomo dai molteplici pseudonimi, ne aveva di tutti i generi, che visse la sua vita come poteva fare un'amante della musica, talvolta stupidamente, altre volte allegoricamente, e altre ancora con insofferenza se non con eloquenza e forza espressiva.
Prima che quegli anni fossero trascorsi, la New Jazz Society di Toronto decise di riunire la maggior parte dei fanatici del bop. Nei primi mesi del 1953 i responsabili dei club in cui si suonava il bop, si rivolsero a parecchi musicisti nella speranza di dar vita ad un gigantesco concerto alla Massey Hall di Toronto nel quale sarebbero stati presenti sia questo quintetto di "mostri" del Bop, che numerosi jazzisti canadesi che avevano formato band di parecchi elementi.
Incappando nei primi problemi, alla fine l'organizzazione firmò un contratto con il bassista Charlie Mingus, affinché questi portasse il quintetto in Canada nel mese di maggio. Mingus convinse Charlie Chan, Dizzy Gillespie, Max Roach e Bud Powell che ciò sarebbe stato un vantaggio per loro e per il gruppo stesso. (Forse sarebbe stato un interesse momentaneo, ma ciò che scoprirono durante il viaggio, fu che dovendo atterrare all'aeroporto La Guardia, solo cinque su sette della comitiva esaltati dalla presenza della moglie di Mingus e a quella di Goodstein (vincitore dell’Oscar Birdland), potevano prendere un volo prenotato, e che due avrebbero dovuto aspettare un aereo successivo. Dopo alcuni calcoli decisero di far prendere il secondo aereo a Chan e a Gillespie che impazientemente trascorsero parecchie ore all'aeroporto di Toronto, chiedendosi se il loro aereo sarebbe mai arrivato. Per quelli che lo conobbero, il fascino di questa vicenda sta nel pensare a ciò che Dizzy e Charlie fecero in quelle numerose ore all'aeroporto; il dover attendere era una cosa dura per entrambi, e quello era un luogo in cui l'attesa si faceva sentire ancora di più.)
A Toronto il quintetto si esibì brillantemente se si considera il temperamento dei singoli musicisti, e fortunatamente fu possibile registrare la maggior parte di quelle note, altrimenti destinate a perdersi una volta suonate. Le digressioni il più delle volte si sentono non si odono; lo strano significato dell’intercalare di Chan in Perdido; l'apparente esasperazione di Chan nei primi accordi di Peanuts, quasi come se stesse rimproverando Gillespie di fare il pagliaccio, visto che aveva appena presentato il brano come "la migliore espressione di me stesso". E' giusto chiedersi se queste parole furono volute veramente o no.
Divagazioni a parte, quella sera, portarono una ventata di musica di sorprendente qualità. Quelli non furono momenti d'oro per il Bop, non si vuole esaltare nessun apice di stile, ma quella è una musica che parla da sola, creata da cinque musicisti d'eccezione, un qualcosa che si distingue all'interno della sfera del jazz se inteso come regola generale.
Questo fu un quintetto che il bop costruì, un quintetto che creò gran parte del bop, eccettuato forse Mingus, che trascorse i primi anni dell'era bop nella West Coast. E il fascino della musica e della rivoluzione che il Bop portò, è ancora maggiore se si paragona all'impronta personale che lasciò su ognuno di loro. Due personaggi che recitano il prologo e l'epilogo; un abbandono. Ebbene questo sarà l’ultimo ritornello.
Per primo c'era il nostro Passero; lui, la più ovvia tragedia. Poi Dizzy Gillespie che ben presto si coperse il volto con una maschera che lo proteggesse: la barba, e non solo, una copertura, un'insieme di assurdità, e infine la nobile tromba. Un aspirante principe dei pagliacci, che di quando in quando recita quel ruolo con soave dignità, e può sempre farlo, pagliaccio o no, con un'intelligenza vivace e d'eccezione.
Bud Powell impazzito per una bella donna o per la randellata di un poliziotto, ha completamente influenzato lo stile dei pianisti. Non aveva autorità su sé stesso. Manca solo l'atto finale della tragedia: lui è ancora vivo.
L'apparentemente imperturbabile Max Roach, era disciplinatamente implacabile, s'indurì nel corso di anni di disagio e insicurezza. Ma Max risentì meno di altri degli anni del bop. Potenzialmente il più brillante di questi talenti, aveva già raggiunto una totale maturità, e quei tempi sarebbero stati per lui migliori di quelli a venire.
Concludendo: Questo è un album-contenitore? Dove sono gli accessori? In che modo non dà alcuna eccitazione? Che aspetto ha tutto ciò?
Naturalmente sembra un cataplasma, fatto per un mondo inetto, fatto da un mondo inetto. Una forma che si accompagna ad ogni tratto del corpo., che alternativamente promette cure e distruzione, che prega e allo stesso tempo impreca, che offre sia il bene che il male, forza e tentazione. In breve, una forma in cui gli estremi lottano contro il centro.
E in questo lottare emerge una squisita abilità artistica, che raramente s'intona e che sopravviverà a qualsiasi ultimo passo, ed un'eloquenza così rigorosa come rigoroso è il parlare della vita o della morte. Ci sono degli elementi addizionali; non molti, solo quelli necessari ad un evento così eccelso. Ognuno di essi così inesorabilmente drammatico sia esso nella musica che nella vita o nella morte.
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BILL COSS, Editorialista, Jazz Today